IL CONTESTO STORICO-CULTURALE
Barocco è il termine utilizzato per indicare un movimento culturale (letteratura, arte e musica) nato in Italia, più precisamente a Roma, nel 1600 e che si è poi diffuso in tutta Europa. La parola Barocco deriva dalla lingua francese, usata all’epoca per indicare qualcosa di “stravagante, irregolare, contorto, grottesco e bizzarro”.
La ragione per cui il Barocco nacque a Roma si spiega col fatto che
questa città, in quel periodo, era considerata la principale capitale europea e
per questo motivo era imitata dalle altre città italiane (e non) nell’impiego
dell’arte barocca, sia in pittura che in architettura. A rendere Roma così
importante agli occhi del mondo, contribuì la figura di Papa Urbano VIII (nato
Maffei Barberini) che ordinò una serie di interventi edilizi, come ad esempio: la
costruzione del baldacchino (cioè l’altare papale) all’interno della Basilica
di San Pietro; la sistemazione del palazzo di Castel Candolfo (cioè la residenza
estiva dei papi); l’ampliamento e la realizzazione di alcuni degli affreschi di
Palazzo Barberini (oggi sede della Galleria Nazionale di Arte Antica); la
costruzione della Fontana del Tritone (una figura mitologica legata all’acqua);
il potenziamento militare di Castel Sant’Angelo (cioè il fortilizio difensivo
dello Stato Vaticano). Queste opere furono, però, realizzate attingendo i
materiali da altre opere che erano pervenute al Barberini sfidando i secoli.
Tutti i bronzi del Pantheon ad esempio, furono rimossi, nuovamente fusi e
riutilizzati per i cannoni di Castel Sant'Angelo e per il Baldacchino di San
Pietro. Inoltre, tutti i marmi del Colosseo furono riutilizzati per abbellire i
palazzi romani, e le pietre furono utilizzate addirittura per costruire nuovi
palazzi. In altri termini, Papa Urbano VIII utilizzò il Colosseo come cava di
materiali da costruzione. Questo scempio fece esclamare a Pasquino[1]
(la più celebre statua “parlante”
di Roma): “Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini” ("Ciò
che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini"). Ad ogni modo, nel bene
e nel male, il Seicentesco rappresenta un periodo storico che fa uso dell’arte
barocca per celebrare il prestigio e la potenza dei suoi committenti, prima fra
tutti la Chiesa cattolica che se ne serve per garantire la sua supremazia sulla
chiesa protestante e convincere così i fedeli di essere l’unica portatrice di
verità assolute: non a caso, questo secolo si apre con la tanto nota Guerra dei
Trent’anni (1618-1648), che vede scontrarsi gli Stati cattolici contro quelli appunto
protestanti. Contemporaneamente, il Seicento è un secolo investito da una vera
e propria rivoluzione scientifica: infatti, grazie alle ricerche iniziate nel
Rinascimento e alle scoperte fatte nel 1600 (es.: la terra non è piatta ma
tonda; l’universo è infinito; ecc.), l'uomo iniziò a confrontarsi con una
realtà nuova e scoprì che la conoscenza è infinita, come la realtà. L'uomo si
rese conto quindi che con la ragione avrebbe potuto comprendere ogni cosa e,
diciamo così, illuminare i luoghi bui della conoscenza, gettando le basi
dell'Illuminismo del Settecento. A questa rivoluzione scientifica, contribuì ad
esempio il matematico ed astronomo Galileo Galilei che, nel 1632, pubblicò
“Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”(un libro nel quale lo
scienziato verificava e difendeva la teoria copernicana sul moto dei corpi
celesti), per il quale venne condannato con l’accusa di eresia e costretto
all’abiura dallo stesso Papa Urbano VIII.
L’ARTE DEL BAROCCO
L’arte
del Barocco si contraddistingue sia per la presenza di opere sacre (cioè quelle
che rappresentano scene bibliche) sia per la presenza di opere profane (cioè
quelle che rappresentano soggetti scelti dall’artista). Queste ultime sono
generalmente di due tipi: 1) la “natura morta”, in cui non vengono mai
rappresentate figure umane, ma soltanto oggetti inanimati come, ad esempio,
frutta, fiori, strumenti musicali o cacciagione; 2) la “pittura di genere” in
cui vengono rappresentate scene di vita quotidiana (ad esempio: persone
affaccendate nel lavoro, nobili o borghesi nell’interno delle loro case, e così
via). Un tipo particolare di “natura morta” è la cosiddetta “Vanitas”, cioè una
rappresentazione pittorica in cui, tra gli oggetti inanimati, compaiono anche
elementi che richiamano il concetto di caducità della vita: teschi, candele
spente, clessidre, orologi, fiori spezzati, frutta bacata, strumenti
musicali“silenziosi”, bolle di sapone soffiate da un putto... sono tutti
oggetti che alludono simbolicamente alla morte o al tempo che passa e non si
arresta mai. Il tema della morte (intesa come transitorietà della vita) non è un
fatto nuovo nell’arte: nel Medioevo, a ricordare questo concetto, ci pensavano
le “Danze Macabre”, “I trionfi della morte” e “L’incontro dei tre morti e dei
tre vivi”, cioè tutte quelle rappresentazioni basate sul “memento mori” (il
concetto del“ricordati che devi morire”). Il nome “Vanitas”deriva
dalla frase biblica “Vanitas vanitatum
et omnia vanitas” ("Vanità delle vanità, tutto è
vanità"), che dovrebbe mettere in guardia l’essere umano dall’eccessivo
desiderio di possedere beni materiali. Le
ragioni per cui nel Seicento, soprattutto in Olanda, le Vanitas sono così
diffuse sono da ricercare nelle precarie condizioni di vita delle persone a
causa della Guerra dei Trent’anni e della presenza dilagante della peste. Invece, la “pittura di genere”, rappresentando aspetti della
vita quotidiana, fu a lungo considerata un genere "minore" e, per tale ragione, i grandi committenti del Seicento non si interessarono mai veramente a questo tipo di opere che, al contrario, riscossero un grande successo tra la borghesia e i mercanti.
[1] La statua è un frammento di un'opera in
stile ellenistico, risalente probabilmente al III secolo a.C. . Ai piedi della statua, ma più spesso al
collo, si
appendevano nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere
anonimamente i personaggi pubblici più importanti (soprattutto ipapi). Erano le cosiddette
"pasquinate", dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida,
il malumore popolare nei confronti del potere ie l'avversione alla corruzione e
all'arroganza dei suoi rappresentanti. Pasquino smise di “parlare” con la fine
del potere temporale (alla fine idell’Ottocento),
che mise il ipopolo
romano di fronte a nuovi tipi di sovrano e a nuovi tipi di stato, ma ogni
tanto, in qualche particolare ioccasione,
si fa ancora sentire...