mercoledì 8 novembre 2017

5°LEZIONE - "Barocco" (I°parte)


IL CONTESTO STORICO-CULTURALE

Barocco è il termine utilizzato per indicare un movimento culturale (letteratura, arte e musica) nato in Italia, più precisamente a Roma, nel 1600 e che si è poi diffuso in tutta Europa. La parola Barocco deriva dalla lingua francese, usata all’epoca per indicare qualcosa di “stravagante, irregolare, contorto, grottesco e bizzarro”. 


La ragione per cui il Barocco nacque a Roma si spiega col fatto che questa città, in quel periodo, era considerata la principale capitale europea e per questo motivo era imitata dalle altre città italiane (e non) nell’impiego dell’arte barocca, sia in pittura che in architettura. A rendere Roma così importante agli occhi del mondo, contribuì la figura di Papa Urbano VIII (nato Maffei Barberini) che ordinò una serie di interventi edilizi, come ad esempio: la costruzione del baldacchino (cioè l’altare papale) all’interno della Basilica di San Pietro; la sistemazione del palazzo di Castel Candolfo (cioè la residenza estiva dei papi); l’ampliamento e la realizzazione di alcuni degli affreschi di Palazzo Barberini (oggi sede della Galleria Nazionale di Arte Antica); la costruzione della Fontana del Tritone (una figura mitologica legata all’acqua); il potenziamento militare di Castel Sant’Angelo (cioè il fortilizio difensivo dello Stato Vaticano). Queste opere furono, però, realizzate attingendo i materiali da altre opere che erano pervenute al Barberini sfidando i secoli. Tutti i bronzi del Pantheon ad esempio, furono rimossi, nuovamente fusi e riutilizzati per i cannoni di Castel Sant'Angelo e per il Baldacchino di San Pietro. Inoltre, tutti i marmi del Colosseo furono riutilizzati per abbellire i palazzi romani, e le pietre furono utilizzate addirittura per costruire nuovi palazzi. In altri termini, Papa Urbano VIII utilizzò il Colosseo come cava di materiali da costruzione. Questo scempio fece esclamare a Pasquino[1] (la più celebre statua “parlante” di Roma): “Quod non fecerunt  barbari, fecerunt Barberini” ("Ciò che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini"). Ad ogni modo, nel bene e nel male, il Seicentesco rappresenta un periodo storico che fa uso dell’arte barocca per celebrare il prestigio e la potenza dei suoi committenti, prima fra tutti la Chiesa cattolica che se ne serve per garantire la sua supremazia sulla chiesa protestante e convincere così i fedeli di essere l’unica portatrice di verità assolute: non a caso, questo secolo si apre con la tanto nota Guerra dei Trent’anni (1618-1648), che vede scontrarsi gli Stati cattolici contro quelli appunto protestanti. Contemporaneamente, il Seicento è un secolo investito da una vera e propria rivoluzione scientifica: infatti, grazie alle ricerche iniziate nel Rinascimento e alle scoperte fatte nel 1600 (es.: la terra non è piatta ma tonda; l’universo è infinito; ecc.), l'uomo iniziò a confrontarsi con una realtà nuova e scoprì che la conoscenza è infinita, come la realtà. L'uomo si rese conto quindi che con la ragione avrebbe potuto comprendere ogni cosa e, diciamo così, illuminare i luoghi bui della conoscenza, gettando le basi dell'Illuminismo del Settecento. A questa rivoluzione scientifica, contribuì ad esempio il matematico ed astronomo Galileo Galilei che, nel 1632, pubblicò “Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo”(un libro nel quale lo scienziato verificava e difendeva la teoria copernicana sul moto dei corpi celesti), per il quale venne condannato con l’accusa di eresia e costretto all’abiura dallo stesso Papa Urbano VIII.




L’ARTE DEL BAROCCO
L’arte del Barocco si contraddistingue sia per la presenza di opere sacre (cioè quelle che rappresentano scene bibliche) sia per la presenza di opere profane (cioè quelle che rappresentano soggetti scelti dall’artista). Queste ultime sono generalmente di due tipi: 1) la “natura morta”, in cui non vengono mai rappresentate figure umane, ma soltanto oggetti inanimati come, ad esempio, frutta, fiori, strumenti musicali o cacciagione; 2) la “pittura di genere” in cui vengono rappresentate scene di vita quotidiana (ad esempio: persone affaccendate nel lavoro, nobili o borghesi nell’interno delle loro case, e così via). Un tipo particolare di “natura morta” è la cosiddetta “Vanitas”, cioè una rappresentazione pittorica in cui, tra gli oggetti inanimati, compaiono anche elementi che richiamano il concetto di caducità della vita: teschi, candele spente, clessidre, orologi, fiori spezzati, frutta bacata, strumenti musicali“silenziosi”, bolle di sapone soffiate da un putto... sono tutti oggetti che alludono simbolicamente alla morte o al tempo che passa e non si arresta mai. Il tema della morte (intesa come transitorietà della vita) non è un fatto nuovo nell’arte: nel Medioevo, a ricordare questo concetto, ci pensavano le “Danze Macabre”, “I trionfi della morte” e “L’incontro dei tre morti e dei tre vivi”, cioè tutte quelle rappresentazioni basate sul “memento mori” (il concetto del“ricordati che devi morire”). Il nome “Vanitas”deriva dalla frase biblica “Vanitas vanitatum et omnia vanitas” ("Vanità delle vanità, tutto è vanità"), che dovrebbe mettere in guardia l’essere umano dall’eccessivo desiderio di possedere beni materiali. Le ragioni per cui nel Seicento, soprattutto in Olanda, le Vanitas sono così diffuse sono da ricercare nelle precarie condizioni di vita delle persone a causa della Guerra dei Trent’anni e della presenza dilagante della peste. Invece, la “pittura di genere”, rappresentando aspetti della vita quotidiana, fu a lungo considerata un genere "minore" e, per tale ragione, i grandi committenti del Seicento non si interessarono mai veramente a questo tipo di opere che, al contrario, riscossero un grande successo tra la borghesia e i mercanti. 


Questi ultimi, in particolare, erano perfettamente in grado di acquistarle,  e magari poi rivenderle, proprio perché solitamente si trattava di dipinti di piccolo formato. Non a caso, i primi grandi pittori di scene di genere si affermarono nei Paesi Bassi, paese appunto con una forte componente mercantile. Tra questi artisti, è bene ricordare l’olandese Johannes Vermeer. Egli è l’autore del quadro “La lezione di musica”, opera in cui è rappresentata una stanza illuminata a pieno giorno, nella quale una donna di spalle, verso la parete di fondo, suona la spinetta (cioè uno strumento a tastiera con corde pizzicate), mentre un uomo in piedi (il maestro di musica), l'ascolta. Oltre ad essere un importante esempio di “pittura di genere”, quest’opera implica molto probabilmente l’uso della camera ottica (anche detta camera oscura), già scoperta da Leonardo da Vinci nel Rinascimento. Questo strumento, molto in uso nel Seicento, aveva lo scopo di incorniciare la scena da rappresentare, trasformando l’immagine da tridimensionale in bidimensionale, facilitando così il lavoro dell’artista. Il procedimento della camera ottica è molto semplice da riprodurre ed è alla base dell’invenzione della fotografia che avverrà nella metà dell’Ottocento: infatti, praticato un piccolo foro in una scatola, attraverso di esso la luce passa e proietta capovolti gli oggetti che si trovano all’esterno, proprio come avviene nell’occhio umano quando l’immagine si fissa sulla retina. Gli oggetti così capovolti erano quindi ricopiati dai pittori sulla tela dei loro quadri, con risultati di grande realismo. La camera ottica, però, non era solo un oggetto di cui servirsi per velocizzare il proprio lavoro: essa era anche un valido strumento di composizione perché consentiva di modificare immediatamente la disposizione degli oggetti e delle figure nello spazio. Lo stesso Vermeer ha apportato numerose modifiche al suo quadro durante la lavorazione: ha cambiato ad esempio la posizione del maestro di musica e la testa della ragazza, lasciando però volutamente invariata l’immagine riflessa nello specchio posto sopra di lei per conservare l’atmosfera d’intimità che avvolge i due personaggi. Inoltre, per assicurarsi che la prospettiva fosse ben riprodotta, nel punto di fuga del quadro ha inserito un perno al quale ha fissato delle stringhe con cui aiutarsi a tracciare le linee rette convergenti: gli studiosi hanno, infatti, riscontrato un foro di spillo proprio nel punto di fuga. Un ulteriore motivo, per il quale Vermeer si è servito della camera ottica, è il vantaggio che essa offre nel restringere la vasta gamma di luminosità che si trovano in natura, riducendole ad un numero più limitato di valori tonali riproducibili dai pigmenti del pittore: ad esempio, un fazzoletto bianco, osservato in pieno giorno o sotto l’ombra profonda di un albero, appare comunque bianco ai nostri occhi; in pittura, invece, al fine di distinguere le due condizioni di luce occorre illudere l’occhio dell’osservatore, utilizzando del pigmento bianco e del pigmento bianco scurito con grigio o nero, affinché l’immagine risulti convincente. Ciò si spiega, da una parte, perché l’occhio umano si adatta quasi istantaneamente a diverse situazioni di illuminazione e, dall’altra, perché la mente umana tende a compensare le informazioni incamerate dall’occhio. 




[1] La statua è un frammento di un'opera in stile ellenistico, risalente probabilmente al III secolo a.C. . Ai piedi della statua, ma più spesso al collo, si appendevano nella notte fogli contenenti satire in versi, dirette a pungere anonimamente i personaggi pubblici più importanti (soprattutto ipapi). Erano le cosiddette "pasquinate", dalle quali emergeva, non senza un certo spirito di sfida, il malumore popolare nei confronti del potere ie l'avversione alla corruzione e all'arroganza dei suoi rappresentanti. Pasquino smise di “parlare” con la fine del potere temporale (alla fine idell’Ottocento), che mise il ipopolo romano di fronte a nuovi tipi di sovrano e a nuovi tipi di stato, ma ogni tanto, in qualche particolare ioccasione, si fa ancora sentire...